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Immagine del redattoreLuca Chino Ferrari

L'anima di "London Calling" secondo XFactor...

Aggiornamento: 29 dic 2022

Non so quanti di voi seguano i movimenti in quell’acquario di pesci morenti che è XFactor, ma nell’ultima puntata trasmessa giovedì scorso il musicista underground/coach Manuel Agnelli ha affidato a Erio, uno dei partecipanti di maggior talento vocale di questa edizione, un remake di “London Calling”, anthem degli immortali Clash.


Presentandolo, il rocker nostrano ha detto: “Erio non è solo una bellissima voce ma è anche un artista che scrive e che arrangia la sua musica, e ci ha proposto questa versione di un pezzo dei Clash che mi ha veramente colpito. (…) Nel 1982 studiavo a Londra e in realtà vivevo nei Docks, che allora non erano un quartiere residenziale ma erano veramente periferia urbana, abbastanza pericolosi… (…) Perché questa simpatica cazzatella? Per farmi figo?…? Sì. Ma anche per spiegarvi che quando si fanno le cover ci si dimentica dell’anima del pezzo, il perché è stato scritto. Erio ha fatto un arrangiamento completamente alieno, ma quando sento la sua versione mi ricorda perfettamente la tensione e l’inquietudine che provavo in quegli anni a Londra, più di tante cover che fanno il compitino. Mai avevo ascoltato la furia di Joe Strummer trasformata in poesia così dolente. Il suono è molto importante ma l’anima lo è molto di più”.


Ascoltate i due pezzi e confrontateli, facendovi un’idea dell’operazione di restyling proposta da XFactor...


Il pezzo originale dei Clash, come gran parte dell’album, è un inno incendiario di giovani ribelli punk contro le politiche del governo Thatcher e la situazione di degrado sociale ed economico in Inghilterra, una disperata chiamata alle armi sin dai primi versi:


“Londra chiama le città lontane

ora che la guerra è dichiarata e comincia la battaglia

Londra chiama il mondo sotterraneo

venite tutti fuori dall'armadio, ragazzi e ragazze

Londra chiama, adesso non badate a noi

tutta la falsa beatlemania ha finito per mangiare la polvere

Londra chiama, lo vedi che non c'è niente di così "swing"

tranne che il roteare di quel manganello...

L'era glaciale sta arrivando, il sole si sta avvicinando

i motori smettono di funzionare e il grano si assottiglia

un errore nucleare, ma non ho paura

Londra sta annegando e io vivo vicino al fiume...”


Ne scrive così ad esempio “Rolling Stones” in “I 500 migliori album di ogni tempo” [1]:

“Inciso nel ‘79 in una Londra stravolta dalla disoccupazione e tossicodipendenze in costante aumento, e pubblicato in America nel gennaio 1980, all’alba di un decennio di incertezza, London Calling sforna 19 canzoni d’apocalisse, alimentate da una fede incrollabile nel rock’n’roll come mezzo per ricacciare l’oscurità. Prodotto con impagabile energia dal leggendario “topo di studio” anni ‘60 Guy Stevens, il terzo album dei Clash sembra una trasmissione radiofonica a ruota libera dalla fine del mondo, tra rigido punk (“London Calling”) e rassegnazione (“Lost in the Supemarket”)...”


E’ un album dichiaratamente rock’n’roll (confermato dagli espliciti riferimenti della copertina all’album d’esordio di Elvis Presley), dunque, dal forte impatto vocale, dallo spirito volutamente collettivo: ascoltandolo, si vive ancora oggi la straordinaria esperienza di un gruppo di giovani incazzati, ai ferri corti con l’establishment, disposi a nessun compromesso, pronti a dichiarare guerra alla retorica governativa della Londra a misura di turisti, che cercano un dialogo con i loro coetanei, che si fanno portavoce del disagio diffuso oltre ogni divismo da rockstar.


In questa che è l’edizione di XFactor più ideologica, dichiaratamente ‘liquida’, senza categorie e identità di genere, tutto sembra diventare lecito: la società è cambiata, suggeriscono i produttori del programma, e bisogna rappresentare l’esistente.

D’accordo, ma rappresentare l’esistente non significa stravolgere la Storia, cambiarne la forma per rivederne i significati.

Ogni remake è legittimo, ci mancherebbe, rientra nella libertà di espressione artistica. Non lo è, invece, cambiare i significati storicizzati di un’opera per forzarne di nuovi. Trattasi di revisionismo pericoloso e ingannevole, perché in questo caso si rivolge soprattutto all’ultima generazione di ascoltatori, spesso ignoranti dell’ormai settantennale storia del rock.

L’“anima del pezzo” dei Clash, diversamente da quanto sostiene Agnelli, non ha nulla a che fare con la versione di Erio, trasformata in “poesia dolente”, intimista, in gelida rappresentazione psicologica, nichilista, ma ha a che vedere con la rabbia iconoclasta, la furia devastante, la frustrazione nell’osservare una realtà che sta andando a pezzi; ha a che fare con la ricerca di una condivisione collettiva, politica, con la speranza di un'attivazione dal basso, di una reazione orgogliosa. Canta Strummer nella seconda parte del pezzo:


“Londra chiama e io non voglio urlare

ma mentre stavamo parlando, ti ho visto guardare da un'altra parte

Londra chiama, vedi che non siamo 'fatti'

ad eccezione di quello con gli occhi gialli...”.


Dopo l’esibizione del suo pupillo, Agnelli commenta: “E’ liberatorio che oggi non ci sia più l’obbligo di essere degli dei Nibelunghi con i capelli lunghi, i muscoli e la barba brizzolata… Erio rappresenta una parte introversa che non vuole sentirsi violentata dall’obbligo di essere frizzanti, compiacenti, sorridenti, simpatici ed estroversi… perché essere introversi non vuol dire essere meno vivo, non siamo meno vivi… grazie Erio”.

Un ‘messaggio’ che non ha nulla a che vedere con l’ “anima” del brano appena cantato (semmai con l’interpretazione) ma con la propaganda ‘transumanista’ di un’edizione che assume sempre più tinte inquietanti.

Agnelli bara sapendo di barare, molto probabilmente. Il problema vero è che nessuno, tra giornalisti e media, ha ormai il coraggio o la volontà di denunciare il fatto e ristabilire la verità.

Mika: “L’hai prodotta tu? E’ bellissima, è fantastica. Non solo perché è bella da sentire, ma anche perché hai tirato fuori una malinconia che ha portato sul pezzo una luce completamente diversa”.

Una luce sinistra, appunto.


[1] da AA.VV., “I 500 migliori album di tutti i tempi”, White Star, Vercelli 2006;


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