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Immagine del redattoreLuca Chino Ferrari

Charlie Watts (1941-2021), la rotellina di un ingranaggio perfetto.


In un gruppo rock e blues si può rinunciare a tutto tranne che alla sezione ritmica. Ne sapeva qualcosa Jimi Hendrix, i cui assoli ultraterreni di Stratocaster, senza la batteria di Mitch Mitchell e il basso di Noel Redding, sarebbero stati un mero esercizio onanistico per guardoni.

I Rolling Stones 'classici', quelli più longevi, erano Mick Jagger (voce), Keith Richards (chitarra solista e ritmica), Ronnie Wood (chitarra ritmica, basso), Bill Wyman (basso) e Charlie Watts alla batteria. Una band-icona del rock contemporaneo che è invecchiata brillantemente con noi pur con alti e bassi, dischi straordinari e prove mediocri.

Togliete la voce di Jagger e certi pezzi funzionano comunque. Escludete dal mixer le chitarre di Richards e Wood e i pezzi suoneranno lo stesso. Ma non potete togliere Wyman e Watts perché non sarebbero più i Rolling Stones, quella macchina ritmica che ha stantuffato rock e blues per oltre cinquant’anni.

Watts non aveva certo il physique du role di Jagger né la corporeità maudit di Wood e Richards, ma aveva un innato senso del ritmo, una precisione elementare nell'accomodare la metrica, un uso minimale ma essenziale delle bacchette che rendeva apparentemente semplice ogni brano.

Watts è figlio della generazione dei musicisti votati al servizio della musica, non dell’ego, e la luminosa lezione dei batteristi anni Cinquanta e Sessanta è la rivincita del serio artigianato musicale sugli infantili e patologici esibizionismi egotici dei cosiddetti 'virtuosi' dello strumento che scaldano così tanto i cuoricini adolescenziali dei fan.

Come ha scritto Keith Richards nella sua autobiografia, Watts era "la base su cui poggio". Le solide fondamenta di un edificio maestoso, incrollabile. La proverbiale rotellina che fa funzionare un ingranaggio perfetto.

"Da un punto di vista musicale", scrive Richards, "Charlie mi ha sempre fornito le fondamenta su cui costruire. (...) Charlie era un musicista jazz. Sapevo che era un grande batterista, ma per suonare con gli Stones, Charlie dovette studiarsi Jimmy Reed e il suo batterista, Earl Philips, per cogliere quel tocco. Quella cosa grezza, minimale. E da allora l'ha sempre conservato" [1].



[1] Keith Richards, "Life" (Feltrinelli, Milano 2010, pagg. 118-119)

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