Gli anni Settanta e una generazione intrappolata nella nostalgia di un'epoca tramontata, che non tornerà più, dopo aver promesso molto più di quanto ha mantenuto. Claudio Rocchi (1951-2013) è stato uno dei creativi di quella stagione, contraddittorio, confusionario, arruffato ma autentico, profondo e disinteressato.
Ricordo un libro di quegli anni, "Libro bianco sul pop in Italia. Cronaca di una colonizzazione musicale in un paese mediterraneo" (Arcana 1976) di autori anonimi, che scriveva di lui parole al vetriolo:
"In Val Padana, e specialmente nella "bassa" area era visto come il Bob Dylan locale, e da tale si atteggiava. Frequentava S. Babila, ed allora le sue idee eran le più giuste di tutte. Poi s'è vestito da freak, e ha scoperto la "rivoluzione psichedelica" con anni di ritardo, quando ben sapeva che non avrebbe cambiato nulla. Le sue idee erano sempre le più giuste, o così egli credeva. Ha inciso "Viaggio" e "Volo Magico" prima che tutti scoprissero l'innata monotonia e vacuità delle sue espressioni musicali e non. Presto si rifugia a Terrasini, la comune più aristocratica e reazionaria d'Italia. Poi canta "Vado in India", e pochi sanno qual è stato il suo viaggio. Partenza in autostop, arrivo in treno, epatite virale nei due giorni seguenti, ritorno in aereo pagato dal noto Rocchi senior. "Malato ma misticamente intatto", come disse un caro amico, "Claudio decise di cambiare per la terza volta". Ora parla di un non meglio identificato "suono rosso", veste bene e indossa un borsalino grigio e, come al solito, le sue idee sono le più giuste. Constantia victoriosa est".
Nei "leggendari" anni Settanta, nell'insulsa inondazione di musica definita dai giornalisti "rock progressivo" (oggi ridotto alla formula remunerativa Prog), che modellato su stilemi della sinfonia ottocentesca snaturava l'essenza delle sue radici popular (e ci sarebbe voluto il punk nel '76 per ricordarlo), in Italia si salvarono davvero in pochi: gli Area, l'Alan Sorrenti di "Aria", gli Aktuala, il primo Battiato, Juri Camisasca ("La finestra dentro"!!!) e Rocchi (1970-1974), appunto.
Commovente, profondo, idealista, spirituale.
Come in questo straordinario pezzo che diede il titolo al suo terzo album, registrato nel 1972, un condensato di filosofia orientale (il Suzuki di "La dottrina zen del vuoto orientale") e invito al 'carpe diem', valido ancora (e soprattutto) oggi.
LA NORMA DEL CIELO.
Vivi la vita, vivendo la vita, usa la mente, tenendola vuota. Vivi la vita, vivendo la vita, usa la mente, tenendola vuota. La vita che vivi, la misura è il tuo volere, quello cui sei attaccato, quel che vuoi desiderare, non avere desideri, non volere possedere, non sarai posseduto dal volere. La norma del cielo è il vuoto di tutto, il vuoto che riempie di tutto ogni cosa. La norma del cielo è il vuoto di tutto, il vuoto che riempie di tutto ogni cosa. Senza nome è l'inizio del cielo e della terra, col nome è la madre di tutto e di ogni cosa, il nome divide, la forma è illusione, lo specchio è sé stesso quando è vuoto. La norma del cielo è il vuoto di tutto, il vuoto che riempie di tutto ogni cosa. La norma del cielo è il vuoto di tutto, il vuoto che riempie di tutto ogni cosa.