top of page
Immagine del redattoreLuca Chino Ferrari

"Inventario degli oggetti rinvenuti nei libri rientrati dal prestito alla biblioteca 2012-2018&

Aggiornamento: 30 ago 2021


ANTEFATTO KAFKIANO.

Mesi fa, era il febbraio 2018, curiosando tra i banchi di una fiera del libro usato, mi capitò tra le mani una copia dei “Racconti” di Franz Kafka, la prima edizione Feltrinelli nella serie “Universale Economica” del marzo 1961. Tiratura: 25.000 copie. Traduzione dal tedesco di Giorgio Zampa, copertina disegnata da Heiri Steiner.

Un classico della letteratura, già apparso nelle librerie italiane nel dicembre 1957 nella collana “Strenne” (la cui seconda edizione scita nel dicembre 1959).

La straordinarietà di questo ‘ritrovamento’, benché non si trattasse di una rarità collezionistica (su eBay una copia è venduta da 3 a 5 euro), stava nell’imprevedibile rinvenimento di alcuni oggetti dimenticati (o lasciati volutamente?) all’interno.

Nell’ordine:

- tra le pagine 40-41: una foto in bianco e nero di un uomo nella neve che si sistema una calza (sul retro stampigliato il numero 299)

- tra le pagine 64 e 65: foto in bianco e nero di quattro giovani con montagne sullo sfondo (sul retro, scritto a mano in biro nera: “Lago di Alleghe 1958” e dalla parte opposta, in matita: Dante Salvietti)

- tra la pag. 97 e la pagina 98: trafiletto di giornale “Gli “specialisti” della “Mantova”” ( da "Il Piccolo" di Trieste?)

- tra le pagine 170 e 171 due foto:

a) foto che ritrae cinque persone (quattro uomini e una donna) in località marina (sul retro, a mano in biro la scritta: “”Il ricordo di qualche giorni felici [sic] in estate. Auguri cordiali”)

b) foto di gruppo di una classe maschile in bianco enero (sul retro la scritta in penna stilografica azzurra: “Ricordo dei miei compagni di IIa media 1955” seguita dal nome Dante Salvietti e dai nomi e cognomi di compagni di classe).

L’idea fu subito quella di approfondire la cosa e farci una riflessione, magari scriverne qualcosa. Poi il libro finì sotto una montagna di altri libri e me ne dimenticai...

IL PROGETTO DELL'INVENTARIO DEGLI OGGETTI RINVENUTI NEI LIBRI.

Nel giugno di quest’anno, davvero inaspettatamente e per quelle strane, inspiegabili coincidenze della vita, l’amico Mauro Ferrari, sociologo con cattedra all’Università Ca’ de’ Foscari di Venezia, mi proponeva di partecipare a un progetto intrigante che intendeva dedicare al genio di Georges Perec: “Inventario degli oggetti rinvenuti nei libri rientrati dal prestito alla biblioteca. 2012-2018".

Grazie alla collaborazione con la Biblioteca di Piadena e Drizzona (CR), in particolare all’intraprendenza della bibliotecaria Beatrice Dondi, dal 2012 alcuni oggetti dimenticati nei libri restituiti dal prestito erano stati trattenuti con l’idea di catalogarli e studiarli. Il criterio di selezione e raccolta era stato casuale, non sistematico.

Invitandomi a collaborare in qualità di ‘esperto di Georges Perec’, Mauro riconosceva in me la persona che gli aveva fatto conoscere molti anni prima lo scrittore (era il 1996 o ‘97) e da allora non aveva smesso di leggerlo e di occuparsene (come d’altronde avevo fatto io) anche nella sua professione di docente universitario e formatore.

Nelle settimane che seguirono ci furono incontri organizzativi e tecnici per ragionare sulle categorie con cui classificare gli oggetti ritrovati e su come presentarli ed esporli al pubblico. Mauro aveva avuto la brillante idea duchampiana di pensare a un grande libro di legno trasportabile, realizzato prontamente dal talentoso scultore, pittore e scenografo Vanni Braga, con la collaborazione dell'amico Leonida Bertozzi.

Sempre Mauro aveva ideato le categorie con cui classificare i materiali, approntandone descrizione, caratteristiche e peculiarità dei contenuti.

In una di quelle occasioni scoprimmo, addirittura, l'esistenza di un minuscolo libro a firma Apollinaire intitolato "Oggetti dimenticati nei libri" (Edizioni Henry Beyle, Milano 2012), in cui il poeta scriveva: "In Inghilterra è stata redatta una lista di oggetti dimenticati nei libri delle biblioteche circolanti. I più frequenti sono forcine per capelli; ma la cosa straordinaria è che a volte vi si trovano preziosi diamanti. Una volta in un libro di Conan Doyle fu rinvenuto un assegno di 500 franchi, senza che il proprietario se ne fosse dato il minimo pensiero. Si trovano anche molte lettere, talora assai intime. Qualche anno fa un noto ministro smarrì in questo modo un importantissimo documento politico, che ebbe la fortuna di ritrovare prima che la stampa, avuto sentore del fatto, riuscisse a entrarne in possesso" ("Mercure de France", 16 aprile 1918).

Seguiva una nota di Stefano Salis altrettanto breve in cui l'autore elencava alcuni oggetti trovati: cartoline, appassionate lettere d'amore, quadrifogli rinsecchiti, una ricetta per torta, fotografie, un invito a nozze... e concludeva: "Il più bel ritrovamento è stato, però, un biglietto, strappato, su carta comune. Scambio di due studenti durante un compito in classe, evidentemente. Il primo, mano maschile, scrive a penna: "come si continua?", l'altra, femmina, a matita: "guarda negli altri libri". L'ho capito dopo: è uno scambio profetico: si continua sempre guardando negli altri libri. Per un po' ho tenuto il biglietto, poi l'ho gettato o l'ho infilato in qualche altro mio volume, non lo so più. Ma non lo dimentico. E, infatti, ora so come si continua: guardo i libri, nei libri, e, soprattutto, negli altri libri".

Decidemmo quindi di predisporre tre testi da includere sulla seconda e terza copertina del libro con le motivazioni cuturali del progetto, i criteri dell'organizzazione dei materiali e l'analisi degli oggetti classificati.

Mauro Ferrrari curò l'illustrazione delle motivazioni e le classificazioni; io la parte relativa ai rimandi all'opera di Perec.

Eccoli:

Cos’è questo allestimento.

(di Mauro Ferrari)

  1. È un inventario consapevole di oggetti lasciati inconsapevolmente fra le pagine dei libri restituiti dal prestito alla Biblioteca dell’unione dei Comuni di Piadena Drizzona negli anni fra il 2012 e il 2018

  2. È un gioco, quindi una cosa molto seria, gratuita

  3. È un tentativo di rispondere ad alcune domande: come mai le persone dimenticano oggetti nei libri? Quali tipi-di-oggetti dimenticano? Che cosa hanno rappresentato per loro, cosa ci raccontano di loro? E ora, come reagiranno, rivedendoli? E la privacy? E poi: come potremmo presentarli perché diventino un allestimento fruibile, sfogliabile?

  4. Come costruire categorie per classificare gli oggetti? (vedi la pagina successiva e la pagina conclusiva) alcune ipotesi: in base ai supporti (carta, plastica, legno, metallo); in base all’uso (“sono tutti segnalibri”; ma in origine il loro utilizzo era altro, come accade per gli scontrini, o per i biglietti d’ingresso); per argomenti (viaggi, disegni, poesie); per contenuti (lettere d’amore, lettere d’addio, lettere a santa lucia, biglietti di auguri)

  5. Come ordinare le categorie (cat-egories, direbbe Edward Gorey)? In ordine di apparizione degli oggetti, ad esempio

  6. Come descrivere gli oggetti-nelle-categorie (le introduzioni che preludono agli oggetti):

  7. Spunti, idee, stimoli che gli oggetti hanno evocato nel curatore

  8. Sotto-categorie (ad esempio l’ultima categoria, “giochi”, comprende due sotto-categorie assai distinte fra loro, seppure con similitudini)

  9. Inventario

  10. Ordine di presentazione degli oggetti: la prevalenza dello spazio. Il più delle volte gli oggetti compaiono in ordine allo spazio definito dal formato A4; quindi non sempre, anzi quasi mai, vi è corrispondenza fra l’inventario introduttivo e la disposizione degli oggetti. In alcuni casi gli oggetti sdono disposti con attenzione cromatica, o a contenuti affini o poco assimilabili fra loro (ad esempio il cartoncino “rolls royce media” è affiancato provocatoriamente ad una pagina pubblicitaria per “gambe più belle”; li avrà lasciati la stessa persona? Improbabile, non impossibile; intrigante)

  11. Congetture. L’allestimento si compone di 99 pagine. A cui è stata aggiunta una non-categoria (la 18; numero caro a Perec, cui questo allestimento è dedicato, poiché la somma fra i due numeri dà “9”) per ipotesi, commenti, che possono essere lasciati, stavolta consapevolmente, da visitatrici e visitatori

  12. È realizzato a partire da un’idea di Mauro Ferrari, che ne è il curatore. Grazie alla complicità di Bea Dondi (che nei primi raccolti ha segnato i libri in cui gli oggetti sono stati ritrovati, e che ha diligentemente restituito carte d’identità e tesserini vari), mentre il “meta-libro” (il libro di legno che contiene questi fogli e gli oggetti dimenticati nei libri) è stato ideato e costruito da Leonida Bertozzi e Vanni Braga; Luca Chino Ferrari, esperto di Perec, cui l’allestimento è dedicato, è autore della “terza di copertina”.

Costruire categorie. Le categorie sono creazioni convenzionali

(di Mauro Ferrari)

Discutendo di biblioteche, o di aspetti della vita quotidiana, Perec propone continui esercizi di classificazione che giocano con l’esigenza di mettere ordine: descrivendo e reinventando spazi, memorie, utilizzando arditi esercizi logici, l’Autore racconta come anche il più sofisticato esperimento teorico-pratico di catalogazione non sia, né più, né meno, che una costruzione individuale e sociale; una convenzione retorica volta a ricomporre frammenti di mondo1. Così la scrivania diventa un luogo su cui esercitare un lavoro di ricostruzione dei gesti e delle storie legate ai singoli oggetti (“Note riguardanti gli oggetti che si trovano sulla mia scrivania”, Perec, 1989), la propria biblioteca, il pretesto per illustrare “brevi note sull’arte e il modo di sistemare i propri libri” (idem), e da qui un viatico per definire la funzione (la finzione?) di ogni biblioteca come risposta a una duplice esigenza, che spesso è anche una duplice mania: quella di conservare alcune cose (dei libri) e quella di sistemarle in un certo modo” (idem, p.27). “Libri che possono essere ordinati in ordine alfabetico, per continenti o paesi, per colore, in base alla data di acquisto, secondo la data di pubblicazione, per formati, per generi, seguendo i grandi periodi letterari, per lingua, per priorità di lettura, per rilegature, per collane (idem, pp.33-34)2.

Ma il lavoro che ancora di più ci facilita in questo tentativo di connettere Perec all’etnografia è forse nell’opera “La vita: istruzioni per l’uso” (1995), un lungo romanzo che descrive con minuzia la storia di appartamenti, oggetti e persone compresi in un palazzo parigino. Vita quotidiana e profondità storica, vicende individuali, relazioni tra soggetti e con oggetti si intrecciano. Quel che ci preme sottolineare, in riferimento all’opera di questo letterato di formazione sociologica, è come vi sia una ambizione etnografica che ci sembra accompagni tre dimensioni fondamentali e complementari: narrare, descrivere, classificare significa ricomporre la propria storia, la storia dei luoghi e dei soggetti che li abitano, ed infine la storia sociale ed economica del tempo in cui il racconto si dipana.

(il brano è tratto dalla monografia La frontiera interna, di Mauro Ferrari, Academia Universa Press, Milano.Firenze, 2010)

(1) Già Borges aveva presentato l’ipotesi (…) di una classificazione fantastica: “Codeste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn attribuisce a un’enciclopedia cinese che s’intitola Emporio celeste di conoscimenti benevoli. Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in: (a) appartenenti all’Imperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s’agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche” (Borges, 1987, p. 1004).

(2) Un esercizio che l’Autore riprende ed applica all’inventario della memoria, che si tratti del racconto dei luoghi (dai “luoghi in cui ho dormito” - Perec, 1989b - al “tentativo di esaurire un luogo parigino”, 1989a), alle pratiche alimentari (“tentativo d’inventario degli alimenti liquidi e solidi che ho ingurgitato durante l’anno millenovecentosettantaquattro”, in Perec, 1994, pp. 89-97), sempre oscillando fra descrizione e classificazione, combinate con l’arte, condivisa con Queneau e Calvino, di autoassegnarsi un sistema di regole, di vincoli linguistici, per trasformarli, trasformarsi, in risorsa per la narrazione (che trova la sua apoteosi in “La scomparsa”, del 1969, un romanzo composto senza utilizzare la lettera “e”).

Le categorie.

1. Segnalibri

È la prima categoria, l’unica ovvia. Nei libri si utilizzano segnalibri. Ma.

Ce ne sono di artigianali, di esotici, di con dedica, di ricordi di viaggi, di prodotti dalla scuola, di solidali.

Raccontano di noi, di dove siamo stati, di come ci ricordiamo di quando li abbiamo comprati-ricevuti-costruiti-trovati.

Ci dicono (ci dicevano) anche dove siamo arrivati (a che punto del testo, s’intende). Ora non più, separati dal con-testo. Non ci dicono come siamo arrivati fin lì, se abbiamo saltato delle parti, se il libro ci è piaciuto o se lo abbiamo dimenticato; insieme al segnalibro.

Soprattutto, non sapremmo più dove rimetterli.

In quale libro, in quale punto.

Sono smarriti.

2. Gadget

Compriamo un oggetto (del cibo, delle matite) perché ne contengono un altro, magari una sorpresa che ne prolungano il significato?

Oppure i gadget, una volta estratti dal contenitore originario, vivono una vita autonoma, e si diffondono, si dispongono, altrove, veicolando promozioni scadute?

  1. Un Wack attack (snack, chips)

  2. Un buono scuola (decisamente scaduto)

  3. Un cartoncino pan goccioli con gioco sul retro (gli esperti di marketing lo definirebbero un “più ti coinvolgo più ti catturo”)

  4. Una nonnalira e nipoteuro (“istruzioni per la transizione da una moneta ad un’altra”)

  5. Un lombroso, blog

  6. Un profumo (non utilizzato)

  7. Un gadget a scelta (si veda la spiegazione nella categoria 11)

3. Vegetali

Ma chi può aver utilizzato (e dimenticato poi) una lenticchia?

E come mai, e cosa se ne faceva, di una lenticchia secca, non consumabile allo stato, se non dopo ammollo, tantomeno da sola (o in virtù di una dieta molto rigida)?

O forse, reduce da una tombola, la utilizzò in sostituzione dei più classici fagioli per poi obliarla? Oppure era parte integrante – ma allora dovrebbe stare alla voce “gadget” – di un libro di ricette, magari vegane?

Più plausibile l’utilizzo di un libro come schiaccia foglie (ma in questo caso il libro si trasforma in una pressa, poco imposta il suo contenuto; più il peso, le dimensioni). Certo, si tratta di un erbario ampiamente incompiuto, poco più che un prototipo; ma un erbario (perfino un erbario) necessita della compiutezza per essere definito come tale?

4. Cibo

Qui si incontrano diverse tipologie, a cui ci affidiamo in vece delle congetture

  1. Contenitori di cibo (una bustina di tea, ancora profumante - il pubblico è invitato a fidarsi – una carta stagnola sapientemente appiattita, già contente un cioccolatino “Mozart”; entrambi acquistati all’estero (lo si deduce dalla mancanza di una traduzione in italiano)

  2. Quattro scontrini, tre da autogrill, una ricevuta fiscale da Volterra

  3. Un menu, datato 2014, di un self service balneare

  4. Ricette bi frontali, di dolci

  5. Un buono pasto per la mensa scolastica di Torre dè Picenardi

5. Viaggi

È così bello, utilizzare oggetti come ricordi di esperienze di luoghi visitati; è così bello ricordare. Porto con me un ricordo di luoghi in cui sono stato, magari con amici, amori, parenti; ma poi dimentico l’oggetto che veicola quel ricordo. Ricorderò ugualmente?

La categoria “viaggi” è decisamente differente dalla categoria “cartoline” (la 9); in questo caso sono io che viaggio, io che porto con me un ricordo del viaggio (o al più lo regalo una volta tornato, per condividere, o far pesare, un ricordo); nell’altro spedisco, utilizzando una modalità analogica, quasi antica, mai obsoleta, a te che sei, o sarai, a casa un ricordo di me che sono altrove. Mi troverai nella casetta delle lettere.

  1. Viaggi (relativamente) lontani. Non sappiamo se gli hotel abbiano ospitato chi li ha ricordati, a Cuba, Arzachena, Milano, Spoleto, La Spezia. È invece assai probabile che i depliant di Lantana e Offida siano stati prelevato da quei luoghi; oppure regalati da qualcuno che c’è stato

  2. Viaggi vicini. Scontrini di pendolari, che si scontrano con il tempo passato sui mezzi pubblici; ecco perché compare anche un volantino di protesta (e, ops, anche la bibliotecaria partecipa a questa dimenticanza)

  3. Programmi di - . Ci manca il riscontro: l’autrice, o autore, del programma, ci sarà poi stata/o? a Bolsena, a Viterbo, al lago di Vico. E quel Mauro (non chi scrive), ostello di Bolsena, l’avrà accolta/o? Immaginiamo invece che l’albergo di Sidney abbia ospitato colei che ha preso appunti sui uno di quei foglietti che nelle magioni stellate vengono lasciati a bella posta nella camera, matita o biro inclusa, insieme al listino del frigobar.

6. Lettere

Questa categoria si divide in due macro settori: lettere inviate, lettere non inviate.

Rimane da scoprire se le lettere inviate sono state dimenticate da chi le ha ricevute o se non siano, per qualche motivo, state restituite e lasciate dal mittente.

Così come non sappiamo se le lettere a santa lucia e/o babbo natale siano una copia di quelle depositate sul tavolo (santa lucia) o sotto l’albero (babbo natale); in un caso, si sa mai, a tutt’e due, quasi lasciando a loro di decidere il da farsi, a chi toccasse l’impegno; o se invece proprio son rimaste indepositate. Ma se così fosse, i regali saranno poi arrivati davvero?

  1. Una lettera d’amore, con in più un biglietto dello stesso autore. Come non farsi delle domande a questo riguardo? Distrazione colpevole o piuttosto un rifiuto? Nella stessa tipologia uan letterea su carta intestata sembra una citazione, una esortazione, “sei bellissimo”

  2. Lettere a santa lucia (che, per l’appunto, come avrà mai potuto, che già con i suoi problemi di vista, senza nemmeno riceverla, portare doni?). E lo stesso dubbio pervade la lettera inviata almeno intenzionalmente a lei e a babbo natale (e alle sue renne)

  3. Alcune lettere di auguri (natali, compleanni)

  4. Una lettera per m. (che ci auguriamo almeno lei l’abbia capita)

  5. Una lettera masochista (“picchiate me”): Un sacrificio umano? Una sfida?

  6. Una lettera di scuse alla mamma

  7. Una lettera (poesia? canzone?); e il nome che compare in alto a dx è quello dell’autrice o della copiatrice?

  8. Un messaggio per m. (ops) su cartoncino promozionale di una mostra

  9. Un biglietto di auguri commerciali

7. Appunti

(notare le p in minuscolo corsivo del gill sans: ecco perché amo questo carattere)

Appunto. Prendo nota per non dimenticare. Ma poi lascio gli appunti. Chissà se questo esercizio di scrittura è valso a memorizzare qualcosa di quel che ho scritto.

  1. Di libri (elenchi; o riassunti)

  2. Di spese (con un retro da decrittare)

  3. Di intenti (concerti o partite a cui vorrei partecipare)

8. Foto

  1. Fototessere (e la privacy? E il meraviglioso mondo di Amelie?); della setssa persona. Lasciate dalla stessa persona, nello stesso libro, nello stesso momento? O in momenti diversi? Da persone diverse?

  2. Di bambini (una con sul retro numeri parrebbe di qualche estrazione del lotto, data la sigla delle province che li precedono)

  3. Da riviste

  4. Di interno artigiano

  5. Di un albero

9. Cartoline

(vedi anche, per le differenze, la categoria 5, viaggi)

Anche in questo caso, come per la categoria 6 (lettere), possiamo dividerla in due macro tipologie: spedite, non spedite. In ogni caso portare con sé una cartolina è come veicolare un ricordo, una o più persone e un luogo. Per poi lasciarlo.

Nel caso siano state spedite possiamo ipotizzare che a dimenticarle sia stato il destinatario, non il mittente (di cui peraltro non conosciamo se non il nome).

Rimane, delle cartoline, il fascino della scelta (da quelle rastrelliere girevoli che ancora si trovano nei luoghi di villeggiatura), della compilazione, dell’acquisto del francobollo, dell’invio, cioè della celebrazione di una relazione. Come per tutte le scelte, anche quella del destinatario implica una selezione (a lei/lui si, a loro no; oppure “non più di 10”, scegliamo).

Nella scelta dei destinatari si compie in effetti una gerarchia degli affetti.

Infine, la scelta della cartolina non esclude l’utilizzo di strumenti digitali di condivisione, come l’invio di foto da telefoni o altre apparecchiature; ma quest’ultima opzione non prevede l’utilizzo di queste immagini come segnalibri.

È una categoria assai numerosa, che lasciamo scoprire a chi sta sfogliando, magari cimentandosi nell’identificare i luoghi (e magari riconoscendosi come mittenti, o come destinatari distratti).

10. Biglietti di ingresso

Una categoria dotata di una sua autonomia: avrebbe potuto venire ricompresa nella categoria 5, “viaggi”; ma ha una specificità talmente forte, autorevole, da meritare una collocazione a sé. Potere e discrezionalità dei classificatori. E potenza degli oggetti.

Qui siamo certi che qualcuna/o è entrato in quei luoghi; di nuovo, non sappiamo se si tratti del dimenticatore o di altra/o a cui il biglietto potrebbe essere stato donato (ma che senso avrebbe, poi?!).

  1. Ingressi a musei, chiese, castelli

  2. Ingressi a terme (ma come, fan pagare anche il noleggio delle ciabatte!)

  3. Due ingressi a concerti (uno dei quali parrebbe un raduno di un certo peso)

11. Accessori

Come a dire “oggetti nati, cioè costruiti, con altri scopi, e diventati, sembrerebbe, segnalibri” (una sorta di “eterogenesi dei fini”)

  1. Cinque forcine per capelli (in effetti utili, per tenere insieme gruppi di pagine: il dubbio se mai sta nello stabilire a quale pagina si è arrivati: prima o dopo la forcina?)

  2. Uno stecco di ghiacciolo (chissà se utilizzato da asciutto)

  3. Una bustina porta cannuccia di tea freddo

  4. Un righello

  5. (no, non c’è una quinta tipologia, ma una regola perec-hiana è di comporre elenchi in numeri dispari)

12. Disegni

Come chiedere un libro ad una biblioteca, o ad una libreria? Riproducendone il titolo, o l’argomento, dentro una copertina disegnata. Un esempio di comunicazione non verbale. Utile quando non ci si reca direttamente ma si incarica qualcun altro (un genitore, un fratello o sorella maggiore; per pigrizia, o malattia, o timidezza). A quel punto però l’autore del libro disegnato avrebbe anche potuto proseguire e scriverlo lui (o lei), il libro.

È una categoria assai eterogenea, dove trovano eccezione persino i supporti. La divideremo quindi in due macro categorie:

  1. Disegni (o segni) su carta)

  2. Disegni (lettere dell’alfabeto, forse uno studio di caratteri) sul retro di carta stagnola per chewing gum (uno solo, ma vale quanto una sotto categoria). Magari compilato a scuola, per distrarsi durante una lezione non proprio coinvolgente

13. Commercio

O, per meglio dire, “oggetti che hanno a che fare col mondo del commercio” (diversi in ciò dalla categoria 2, gadget, che sono subordinati ad un prodotto).

Non sfuggirà che molti di questi oggetti hanno la forma rettangolare, e quindi si prestano, non intenzionalmente, a fungere da segnalibri

  1. Un calendario tascabile

  2. Una pubblicità

  3. Un numero di una lista di attesa in posta

  4. Una etichetta di abiti

  5. Un biglietto da visita

  6. Una serie di buoni sconto, Un buono acquisto (questi forse potevano rientrare nella categoria gadget)

  7. Uno scontrino di supermercato

  8. Una busta vuota

  9. Un catalogo di stucchi

  10. Un cartone per maglieria intima

  11. Un “bugiardino”

  12. Un cartoncino “Rolls Royce media”

  13. Un ritaglio da giornale per gambe più belle

  14. Una busta per cinturino orologio

  15. Un listino prezzi “ankang” (cosa sarà la “tradi rione cinese”? una google traduzione? Ma poi interesserà ai clienti? O ingenuamente “tradi” sta per “trade”, cioè commercio?

14. Kit

Questa categoria nasce da un mistero, o meglio dalla incatalogabilità di un insieme di oggetti apparentemente non connessi fra loro nello stesso punto dello stesso libro (al che la bibliotecaria esclamò “è un kit!”).

Si tratta di:

  1. una preghiera per le vittime della strada

  2. un cerotto paracalli

  3. un nastro adesivo contente (forse) una gomma da masticare già masticata

  4. un biglietto per il “gran premio giordano” (qualsiasi cosa sia)

Possiamo immaginare che un legame fra questi oggetti ci sia, per chi li ha composti e lasciati.

A noi sfugge. Ma questo non è un problema, noi siamo solo raccoglitori e ordinatori.

A seguire

  1. un manuale per costruire una macchinina radiocomandata (difficile pensarlo come segnalibri,m dato lo spessore; eppure)

  2. una guida breve per le donne immigrate in Italia, edito dalla CISL

(rinunciamo, spiazzati dal primo kit, a proporre un ulteriore numero dispari)

15. Religione

Oggetti che hanno a che fare con.

Che esplicitamente raccontano, evocano, soggetti sacri, o pontefici, o momenti liturgici, preghiere.

  1. Un battesimo

  2. Una cresima

  3. Cinque preghiere

  4. Una preghiera con medaglietta e grazia per chi la porti (e per chi la perde?)

  5. Un papa

  6. Una madre teresa

  7. Un programma di messe e incontri

16. Sanità

Due documenti: uno di chi scrive, per il ritiro di un referto, e un esito della misurazione della vista.

17. Giochi

Cosa ci fanno un fante di coppe (da mazzo di carte da briscola piacentine) e un “gratta e vinci”, guarda caso impostato su un gioco di carte?

Compongono una inconsapevole coincidenza, dell’essere stati lasciati in libri diversi in attesa che qualcuna/o ne ricomponesse le connessioni possibili, in forma di questi quesiti.

Quesiti:

  • Il fante di coppe è stato lasciato? Metafora di un abbandono amoroso “sei come un fante di coppe”? oppure, au contraire, “ricorda, sei il mio fante di coppe” (ma poi il ricordo…)

  • Il detentore delle altre 39 carte si sarà accorto della mancanza? Se sì, le avrà gettate? O avrà seguitato a giocare sostituendolo con una carta auto costruita, peraltro ben visibile da tutti per la sua differenza? O avrà sottratto da un altro mazzo un equivalente, dando il via così ad un effetto domino?

  • Di certo, questa carta, nobile benché appiedata, non può essere utilizzata per il 7 e ½ di cui al gratta evinci successivo, che invece prevede carte da ramino

  • E infine, appunto, le due carte (poiché entrambe stampate su carta) rappresentano due tipi di gioco inconciliabili fra loro. Quello di cui è portatore il nostro fante è un gioco basato su un mix di imprevedibilità e competenza, e spesso di socialità (con l’ovvia eccezione dei solitari); il gratta e vinci invece racconta di sfortuna. E solitudine. Chi vince è il banco, stavolta e come quasi sempre accade. L’azzardo, aldilà del suo fascino seduttivo, è una partita a perdere. A perdersi.

  • Ecco perché le due carte stanno nella stessa categoria, ma in due pagine diverse.

18. Una categoria aperta

Volentieri avremmo potuto fermarci alla categoria 17 (per un totale, perec-hiano, di 99 pagine totali). Ma, come ricorda l’amico Luca, il 18 (1+8=9) ha anche lui (anche lei, essendo una categoria, o la sua negazione, il che è lo stesso) un che di Perec.

E allora rimane una busta aperta, in cui, come nei registri che sovente accompagnano le mostre, il pubblico può aggiungere fogli, commenti, rimbrotti, financo oggetti.

Il totale delle pagine in questo modo, soddisfacendo ad un’altra regola aurea dell’universo di Perec, diventa 101, un numero palindromo.

E Georges Perec ha scritto nel 1969 un racconto palindromo di 5.556 lettere, dal titolo 9691, EDNA' D NILUOM UA CEREP SEGROEG.

Perec inafferrabile patafisico alla biblioteca di Piadena.

(di Luca Chino Ferrari)

Definendo perechiano questo intelligente, bizzarro, giocoso inventario ideato e curato dall’amico Mauro Ferrari intendiamo riferirci al senso profondo di un’esp (erienza letteraria e più compiutamente intellettuale che ha caratterizzato la figura poliedrica di Georges Perec - scrittore, saggista, autore teatrale, esperto di cruciverba, animatore dell’OuLiPo (Officina di Letteratura Potenziale) con Calvino e Queneau, nato a Parigi nel 1936 e morto prematuramente nel ’82, a soli 46 anni.

Un inafferrabile patafisico della mente e dei linguaggi che ha attraversato generi e sperimentato forme comunicative giocando col paradosso, la provocazione, mescolando il linguaggio specialistico con il parlato, analizzando ossessivamente la realtà con uno sguardo dal basso teso a ricostruire in particolare la sua stessa biografia personale, frammentata e dispersa dalla morte dei genitori vittime della guerra e dell’Olocausto.

Prendiamo lo splendido titolo di questa mostra: “Inventario degli oggetti rinvenuti nei libri rientrati dal prestito alla Biblioteca”: non richiama direttamente lo straordinario “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino” che Perec scelse per descrivere minutamente nel 1974 alcuni luoghi di Parigi osservati standosene seduto a un tavolino di caffè o su una panchina? O quell’elenco degli oggetti che si trovavano sul suo tavolo da lavoro nell’anno 1976 (“Note riguardanti gli oggetti che si trovano sulla mia scrivania”, contenuto in “Pensare/Classificare” uscito postumo nel 1985)?

O ancor meglio quel “Tentativo d’inventario degli alimenti liquidi e solidi che ho ingurgitato durante l’anno millenovecentosettantaquattro” in cui elencava il numero totale di cavoli, fichi, polli, pastasciutte mangiati, bottiglie di beaujolais bevute... 56 armagnac, un bourbon, otto calvados… per finire con un patafisico e sbeffeggiante “N caffè” perché, probabilmente, non era riuscito a tenerne il conto?

E’ perechiana nell’essenza questa mostra perché basata sulla raccolta, l’ordine e la classificazione (il rimando va soprattutto ancora al suo “Pensare/Classificare”) che muove dal criterio della ‘casualità’, potremmo dire cageano: raggruppati in 18 categorie, che disattivano i criteri ufficiali della scientificità tassonomica, gli oggetti (li definisco in senso generico per non dettagliarli, per rispettarli nella loro straordinaria unicità) si offrono all’osservatore come emergessero dal caos del tempo e della ‘biblioteca di Babele’ del mondo suggerendo connessioni e significati, alludendo a gesti, momenti precisi del vivere...

Ma è perechiana anche per la precisa vocazione biografica - che trova il suo rimando più diretto a “Mi ricordo” del 1978 e a “Sono nato” del 1990 - perché questi oggetti sono fatalmente il racconto di storie personali, alludono a esperienze individuali che rimandano sempre e comunque a una dimensione collettiva: sono memorie di un tempo andato, magari solo di pochi giorni, riferimenti a momenti di storia locale e al tempo stesso nazionale, la Storia con la S maiuscola che Perec ha raccontato attraverso le drammatiche esperienze dei migranti di Ellis Island nella ricerca ossessiva della sua stessa biografia o nella vicenda di Jerome e Silvie in “Le cose” alle prese con l’insorgere della società dei consumi;

quest’inventario è senz’altro debitore di Perec anche per la vocazione per l’elencazione (a sua volta parente stretta del Rabelais di “Gargantua e Pantagruel” o del Verne di “Ventimila leghe sotto i mari”...), che lo scrittore francese ha esplorato in tante dimensioni diverse - come ad esempio in “Duecentoquarantatré cartoline illustrate a colori autentici” o nel divertissement di “81 ricette di cucina per principianti” in cui elenca ricette basate sulla combinazione di 4 ingredienti base.

“La scrittura contemporanea”, ha scritto nel 1976 rammaricandosi di questa assenza letteraria, “salvo qualche rara eccezione (Butor), ha dimenticato l’arte di enumerare: le liste di Rabelais, l’enumerazione linneiana dei pesci in Ventimila leghe sotto i mari, l’elenco dei geografi che hanno esplorato l’Australia nei Figli del capitano Grant...)”.

Ma è perechiana anche perché esibisce la messa in scena di un universo fatto di piccole cose, di minuzie (come nelle descrizioni di “Still life/Style Leaf” del 1981 o di “Specie di spazi” dell’’89) che rivelano, alludono, lasciano solo intuire e immaginare lo sfondo su cui si consumano i semplici atti del vivere quotidiano, la gloriosa, epica banalità dell’ordinario, potremmo dire. O come Perec l’ha definito, dell’infra-ordinario.

Lo scrittore si chiede: “Quello che succede veramente, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo renderne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo?” (da “L’infra-ordinario”, Bollati Boringhieri, 1994)

Cosa ci fa una carta di briscola del fante di coppe (carta palindroma, perfettamente perechiana!) in un libro? Come avranno fatto a giocare da quel giorno con un mazzo incompleto? E un cerotto per calli? Fermagli per capelli o una ricetta medica? E fototessera, foto di famiglia, biglietti del treno, ricevute fiscali del ristorante, lettere d’amore?

Addirittura il biglietto numerato di attesa dello sportello della posta emesso il 23 dicembre 2011 che ci induce a chiederci: il possessore ha cambiato idea e non ha voluto aspettare? Ha fatto il versamento allo sportello dimenticandosi di buttare il biglietto nel cestino presente a ridosso dello sportello?

Per non dire della lenticchia trovata, l’oggetto più piccolo, più assurdo e paradossale (anch’esso perechiano, dunque?), il più inimmaginabile che si possa trovare (ma siamo comunque in campagna, per quello che può voler dire e i libri, si sa, sono da sempre ‘erbari’ fai da te...)?

Esiste forse una nascosta correlazione, ancora tutta da indagare, fra gli oggetti trovati e i libri letti...?

Tutte tracce di quell’ordinario che è anche nei romanzi come “Le cose” (del 1966) e, soprattutto, “La vita istruzioni per l’uso” (del ‘78), il capolavoro letterario di Perec, dove le storie intrecciate di un condominio diventano la scacchiera su cui rendere paradigma, appunto, il senso della vita di ognuno, l’imperscrutabile mistero dei destini incrociati, degli universi paralleli, delle interconnessioni reali e virtuali, degli atti ripetuti, delle paranoie ed ossessioni quotidiane di ognuno. Delle manie collezionistiche che ci aiutano ad illuderci di poter fermare il tempo che scorre implacabile...

C’è poi sotteso in questo inventario l’idea del libro come macchina del tempo in grado di trasportare non solo parole, quindi idee, ma anche cose, oggetti lasciati al suo interno, come se esistesse la volontà nel lettore di personalizzare il libro, farlo proprio, lasciare un segno del suo passaggio/possesso, a dispetto della sua implicita condizione di ‘oggetto pubblico’ (in quanto offerto da una biblioteca), quindi potenzialmente di tutti. Esiste un senso in questa evidente volontà di lasciare un segno di sé? E’ possibile alluda a un codice sotteso, misterioso, addirittura esoterico, che intenda affermare qualcos’altro da quello che manifesta?

(E sotto questo profilo, quindi, che significato hanno quegli oggetti sfuggiti, e che sfuggiranno, all’occhio attento del bibliotecario e torneranno a circolare tra i lettori finendo per accumulare nuovi oggetti e rendere un giorno, certo paradossalmente, il libro altro da sé, modificandone forma e significati…? Di qui, anche, oltre le ragioni già ben espresse da Mauro Ferrari, l’idea di una categoria ancora tutta da riempire…).

Più di ogni altro significato, dunque, questo inventario a me sembra una chiara celebrazione dell’esistenza, il racconto del casuale e inatteso ‘incontro’ fra le persone di una comunità che lasciano tracce di sé e si parlano a distanza, come se affidassero messaggi in bottiglie galleggianti nello spazio-tempo: i lettori di questi libri ‘particolari’ si conoscevano? Si conosceranno? Hanno lavorato insieme? Hanno frequentato le stesse scuole? Sono vicini di casa? Si incontrano abitualmente per le vie di Piadena?

Chi sono, poi, queste persone? Sono io? Siete voi?

(Luca Chino Ferrari, Cremona, 2-6 agosto 2018)

LA PRESENTAZIONE AL PUBBLICO.

Lo scorso 6 settembre c’è stata l’inaugurazione in palazzo Comunale di Piadena dove Mauro ed io abbiamo presentato l'inventario.

Dopo una divertente e coinvolgente presentazione di Mauro, che si è anche soffermato sulla natura eccentrica e paradossale di alcuni materiali ritrovati (la lenticchia, la carta di briscola, la letterina a Babbo Natale...), a me è toccato chiarire la fitta rete di relazioni e rimandi culturali sottesi all'inventario. Ecco il testo su cui ho basato il mio intervento:

PSEUDO METAGRAMMA PERECHIANO

Dagli Shandy a Piadena, passando per Duchamp, Prevert, Max Aub, Rabelais, Jannacci, Mauro Ferrari e Vanni Braga...

Anche questa mostra, che non sfugge a una legge fondamentale della Fisica che regola i processi culturali (quella della conservazione della massa), ha a che fare con alcune storie che vengono da molto lontano, per lo meno dall’inizio del secolo scorso e portano qui a Piadena, attraverso il sottoscritto e l’amico Mauro Ferrari, ideatore e curatore dell’inventario.

Era il 1924 quando un gruppo di intellettuali francesi, tra cui Duchamp, Celine, Benjamin, Morand, Picabia, decisamente un po’ fuori di testa, costituirono la società segreta degli Shandy, propugnatori della letteratura portatile, l’idea cioè che l’opera di ciascuno potesse entrare facilmente in una valigetta e consentisse di viaggiare nel mondo scambiandosi racconti, ideando storie, raccogliendo leggende locali. Una letteratura leggera, trasportabile, dunque. (1)

Dall’esperienza di questa congrega di pazzi, che si sciolse qualche anno dopo, Marcel Duchamp ebbe l’idea nel 1935 della sua famosa Scatola in valigia: contenere in una scatola di legno trasportabile in una valigia una selezione di 66 delle sue opere in scala ridotta, miniaturizzate. Quello che contava, per lui, era la sopravvivenza delle sue idee più che delle opere in sé.

Non trovate analogie con questo splendido libro di legno ideato da Mauro e realizzato da Vanni Braga?

Ma non è finita: più o meno negli stessi anni, era il ‘46, il grande poeta francese Jacques Prevert, poeta surrealista e patafisico, compose una poesia (poi raccolta in “Paroles”) intitolandola, splendidamente: “Tentativo di descrizione di un banchetto a Parigi-Francia” che cominciava così:

“Quelli che piamente

Quelli che copiosamente

Quelli che tricolorano

Quelli che inaugurano

Quelli che credono

Quelli che credono di credere

Quelli che credono nel credito..." (2)

Sicuramente la cosa non sarà sfuggita a Beppe Viola, geniale giornalista sportivo degli anni Settanta, che nel ‘75 compose con Enzo Jannacci (sua la musica) il testo di “Quelli che”, canzone che era un lungo elenco, molto sarcastico e ironico, dei vizi dell’italiano medio. La stessa struttura che suggerirà al Max Aub i “Delitti esemplari” (1957), ciniche variazioni sul tema dell’insofferenza umana: “Lo uccisi perché quando mangiava ruminava”, “Lo uccisi perché mi diedero venti pesos per farlo”… (3)

Niente a che vedere, comunque, con la sofisticata ricerca del linguaggio di Raymond Queneau in “Esercizi di stile” (1947)... (4)

L’idea dell’elenco (che tra l’altro avrebbe ispirato Giorgio Gaber nel 1992, per lo meno in “Qualcuno era comunista”) non era senz’altro nuova e risaliva almeno al 1700, quando Rabelais nel suo monumentale “Gargantua e Pantagruel” si dilettò in lunghi elenchi di giochi, cibi e assortite volgarità (tra cui i tantissimi diversi modi dell’epoca di denominare il pene) sconvolgendo i benpensanti del suo tempo.

George Perec, che non poteva non conoscere Prevert, né tantomeno Rabelais, ne rimase per lo meno condizionato inconsciamente quando, vent’anni dopo il Tentativo di Prevert (era il 1975), scrisse il suo “Tentativo di esaurire un luogo parigino”? Non lo sappiamo, non sembra ci siano prove di questo rapporto a distanza... (5)

Scriveva Perec, per spiegare il senso di questo suo tentativo: "Ci sono molte cose a place Saint-Sulpice, ad esempio: il municipio, un ufficio del Ministero delle finanze, un commissariato, tre caffè di cui uno è una rivendita di tabacchi, un cinema, (...) un editore, un'impresa di pompe funebri, un'agenzia di viaggi, una fermata di autobus, un sarto, un albergo, una fontana decorata (...), un'edicola, un negozio di articoli sacri, un parcheggio, un istituto di bellezza, e ancora molte altre cose.

Molte, se non la maggioranza, di queste cose sono state descritte, inventariate, fotografate, raccontate o segnalate. Il mio proposito nelle pagine che seguono è stato piuttosto di descrivere il resto: quello che generalmente non si nota, quello che non si osserva, quello che non ha importanza: quello che succede quando non succede nulla, se non lo scorrere del tempo, delle persone, delle auto e delle nuvole". (6)

Tra l’altro, altra diciamo ‘coincidenza’, Prevert aveva scritto la poesia “Inventario”, elenco di immagini surreali di un’ipotetica realtà:

"Una pietra

due case

tre ruderi

quattro becchini

un giardino

dei fiori

un orsetto lavatore

una dozzina d'ostriche un limone un pane

un raggio di sole

un'onda di fondo

sei musicisti

una porta col suo zerbino

un signore decorato con la legion d'onore..." (7)

Proprio in questi anni, tra il ‘72 e il ‘74, lo scrittore collabora con una rivista dal titolo “Cause Commune”, fondata da Dauvignaud e Virilio, che ha come obiettivo quello di “intraprendere una investigazione della vita quotidiana a tutti i livelli, nelle sue pieghe nascoste e nei suoi anfratti generalmente trascurati o rimossi”. Che è esattamente il senso di questo inventario.

Perec precisa ulteriormente proprio sulla rivista nel ‘73 in “Approcci di cosa?”: "Quel che ci parla, mi pare, è sempre l'avvenimento, l'insolito, lo straordinario: articoli in prima pagina su cinque colonne, titoli a caratteri cubitali. I treni cominciano a esistere solo quando deragliano, e più morti ci sono fra i viaggiatori, più i treni esistono; gli aerei hanno diritto di esistere solo quando sono dirottati; le macchine hanno come unico destino quello di schiantarsi contro i platani: cinquantadue week-end all'anno, cinquantadue bilanci: tanti sono i morti e tanto meglio per l'informazione se le cifre non fanno che aumentare! Dietro un avvenimento ci deve essere uno scandalo, un'incrinatura, un pericolo, come se la vita dovesse rivelarsi soltanto attraverso lo spettacolare, come se l'esemplare, il significativo, fosse sempre anormale: cataclismi naturali o sconvolgimenti storici, conflitti sociali, scandali politici... (...) I giornali parlano di tutto, tranne che del giornaliero. I giornali mi annoiano, non mi insegnano niente; quello che raccontano non mi riguarda, non mi interroga né tanto meno risponde alle domande che mi pongo o che vorrei porre. Quello che succede veramente, quelòlo che viviamo, il resto, tutto il resto, dov'è? Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l'evidente, il comune, l'ordinario, l'infra-ordinario, il rumore di fondo, l'abituale, in che modo renderne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo?

Interrogare l'abituale. Ma per l'appunto ci siamo abituati. Non lo interroghiamo, non ci interroga, non ci sembra costituire un problema, lo viviamo senza pensarci, come se non contenesse né domande né risposte, come se non trasportasse nessuna informazione.

Non è neanche più condizionamento, è l'anestesia. Dormiamo la nostra vita di un sonno senza sogni. Ma dov'è la nostra vita? Dov'è il nostro corpo? Dov'è il nostro spazio?

(...) Ciò che dobbiamo interrogare, sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, i nostri strumenti, i nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciò che sembra aver smesso per sempre di stupirci. Viviamo, certo, respiriamo, certo; camminiamo, apriamo porte, scendiamo scale, ci sediamo intorno a un tavolo per mangiare, ci corichiamo in un letto per dormire. Come? Dove? Quando? Perché?

Descrivete la vostra strada. Descrivetene un'altra. Fate il confronto.

Fate l'inventario delle vostre tasche, della vostra borsa. Interrogatevi sulla provenienza, l'uso e il divenire di ogni oggetto che ne estraete. Esaminate i vostri cucchiaini. Cosa c'è sotto la carta da parati? Quanti gesti occorono per comporre un numero telefonico? Perché?

Poco importa che queste domande siano frammentarie, appena indicative di un metodo, al massimo di un progetto. Molto m'importa, invece, che sembrino triviali e futili: è precisamente questo che le rende altrettanto, se non addirittura più essenziali, di tante altre attraverso le quali abbiamo tentato invano di afferrare la nostra verità". (8)

Ma perché aver dedicato questo inventario a Perec? Come è nata questa connessione con Piadena?

Giusto vent’anni fa, era il 1998, lavoravo al centro studi e ricerca sulla condizione giovanile e il disagio sociale di Cremona e Mauro, oltre che collega, era diventato mio amico. Gli raccontai di questa scoperta sensazionale che avevo fatto in libreria qualche anno prima (1986), quando Rizzoli aveva pubblicatola ristampa del romanzo d’esordio di Perec, “Le Cose”, uscito in Francia nel 1960. Gli raccontai anche che avevo suggerito a mia moglie, che lavorava coi detenuti in carcere, di mettere in scena “Ellis Island”, un’operina di Perec basata sul racconto dell’isola alle porte di New York in cui all’inizio del Novecento venivano fermati e controllati i migranti che intendevano entrare in America e tentare il “sogno americano”. Mauro rimase affascinato dalla cosa, tanto che si buttò a copofitto nello studio di Perec: prova ne è che quell’anno pubblicò in proprio e in tiratura limitata a quaranta esemplari (io posseggo il n. 30) “Unphotocopiable” su cui, guarda caso, parafrasava uno scritto di Perec intitolandolo: “Pereccate. Elenco delle cose che dovrei fare intanto che è estate e ho tanto tempo a disposizione” su cui appunto elencava 24 cose da fare (avrebbe dovuto elencarne per lo meno 27, per rispettare l’ossessione numerologica di Perec per il 9… ma forse all’epoca non lo sapeva ancora): lo stesso Perec, a onor del vero, intitolando il suo scritto “Alcune cose che dovrei pur fare prima di morire”, con tragica premonizione (la morte lo colpì di lì a poco a soli 46 anni), si era fermato volutamente a 37 (7+3= 10… e il 9?)…

Tra queste, però, Mauro non aveva previsto questa mostra.

Ma le ragioni di questa dedica a Perec e dei tanti rimandi alla sua opera straordinaria, che ho cercato di condensare nella postfazione al nostro libro di legno, trovano giustificazione nell’idea che occuparsi delle piccole cose del nostro quotidiano, che Perec definì ‘infraordinario’, delle apparenti minute banalità che riempiono le nostre giornate, significa raccontare la nostra stessa esistenza, parlare di noi, del nostro posto nel mondo e della relazione che abbiamo con gli altri.

Elenchi, dunque. E inventari, che si basano sugli elenchi. Gli inventari impongono un ordine e una classificazione. Sembrano asettici, sterili, freddi, ma dicono molto di più di quanto siamo disposti ad ammettere.

Note:

(1) Vila-Matas, "Storia abbreviata della letteratura portatile", Sellerio, Palermo 1997;

(2) da "Prevert", Lato Side, Roma 1980, traduzione Maurizio Cucchi e Giovanni Raboni;

(3) Max Aub, "Delitti esemplari", Sellerio, Palermo 1989;

(4) cfr. Umberto Eco, introduzione a "Esercizi di Stile" di Raymond Queneau, Einaudi, Torino 2014;

(5) Prevert conobbe e frequentò Queneau negli anni 40, Queneau conobbe e frequentò Perec anni dopo, nell'ambito dell'Oulipo... se può valere la proprietà transitiva 'a distanza' nelle relazioni...

(6) G. Perec, "Tentativo di esaurire un luogo parigino", Voland, Roma 2011;

(7) da "Prevert", Lato Side, Roma 1980 cit.;

(8) G. Perec in "L'infra-ordinario", Bollati Boringhieri, Torino 1994.

QUESTIONI APERTE.

Il progetto rimanda ad alcune questioni di fondo, ancora 'aperte' al confronto e all'elaborazione: 1- come mantenere spontaneo, inconsapevole, l'abbandono di oggetti nei libri presi a prestito dopo che il fenomeno è stato 'sistematizzato' e reso pubblico? Paradossalmente ma non troppo il fenomeno sembra vivere spontaneamente (e assumere quindi straordinari significati) solo nella dimensione 'sotterranea', inconsapevole del lettore e fruitore della biblioteca;

2- un oggetto 'dimenticato' e non intercettato dal bibliotecario rimane nel libro e torna in circolazione nel prestito successivo: come garantire la naturale dinamica del flusso di oggetti abbandonati e recuperati?

3- esiste una correlazione tra libri e tipologia di oggetti?

4- è scontata la funzione degli oggetti dimenticati quali 'segnalibri' o 'erbari' temporanei o sono immaginabili altre funzioni (ad esempio quella di 'messaggio in bottiglia' del naufrago?)

137 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page