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Immagine del redattoreLuca Chino Ferrari

"Notte della Taranta" mortificante per le musiche tradizionali autentiche.

Aggiornamento: 30 ago 2021


Come da anni, ormai, in questi giorni è stato un coro monodico di giudizi esaltati sulla 21esima edizione della Notte della Taranta, epicentro a Melpignano (Lecce) domenica 25 agosto.

Un esempio emblematico dell’edulcurazione della realtà, la notizia apparsa il giorno dopo sul portale dell’ANSA, la maggiore agenzia di stampa del Paese:

"MELPIGNANO (LECCE) - E' senza confini la Notte della Taranta firmata Andrea Mirò che sul palco del Concertone a Melpignano ha dimostrato che "contaminare la tradizione" non significa tradire ma tramandare. Dalle 19 alle 3.30 del mattino, secondo la stima degli organizzatori, hanno ballato 200mila 'pizzicati' nel piazzale dell'ex convento degli Agostiniani, scatenati sul ritmo frenetico dei tamburelli. Nel backstage, intanto, la taranta mordeva anche i tre cantanti de 'Il Volo' che l'anno prossimo potrebbero esibirsi "in questo grandissimo evento: ci piacerebbe moltissimo - hanno detto - la musica non ha barriere". Lo hanno confermato anche gli artisti di questa 21/ma edizione, che hanno espresso la tradizione in differenti lingue e linguaggi, valorizzandone il senso profondo. Dagli indiani Dhoad Gypsies alla popstar italoamericana LP, dal rapper clementino alla violinista cubana Yilian Canizares, protagonista della grande festa sono le origini del Salento. Una terra consapevole della propria identità, "che non ha paura di accogliere chi arriva da lontano". Messaggio, questo, lanciato dagli artisti dal palco di Melpignano e accolto dagli applausi di un fiume umano di spettatori."

Quando uscì il mio “Folk geneticamente modificato” nel 2003, la Notte della Taranta era alla sesta edizione e già si ravvedevano chiaramente alcuni dei suoi elementi critici soprattutto in relazione allo stravolgimento delle forme della tradizione sulla base del principio (certamente realistico) secondo cui la tradizione è già di per sé “contaminata”, perennemente in evoluzione (1). Altrimenti sarebbe oggetto museale, da archivio della memoria. Affermazioni puntualmente ripetute da Daniele Durante, direttore artistico della manifestazione, e da Andrea Mirò, “maestro concertatore” (!!!), nel prologo televisivo del concerto.

Si converrà che il principio in sé non giustifica gli esiti perché dipende dall’idea che governa il processo di trasformazione delle forme. Il folk è vivo solo perché si ‘contamina’ con le forme del contemporaneo, dunque? Avviene quando una rapper è invitato a interpretare a suo modo un brano della tradizione? E se sì, in quale direzione e forma avviene questo processo?

Aver affidato la direzione artistica a Durante, fondatore dello storico Canzoniere Grecanico Salentino, sembrava una garanzia, almeno sulla carta, di attenzione, sensibilità e rispetto di questo processo.

In realtà, almeno a giudicare dalla diretta televisiva trasmessa da Rai 5, lo spettacolo andato in scena mi ha ricordato per lunghi tratti lo scenario deprimente delle balere emiliane negli anni Settanta, quando a imperversare era il liscio, e in parte il circo kitsch di Moira Orfei dove si andava da bambini… Uno spettacolo volgare, davvero disturbante, avvilente per la tradizione salentina, che dovrebbe far inorridire tutti quegli appassionati cui sta veramente a cuore il rispetto delle tradizioni e della memoria di un’area che anche oggi, nonostante tutto questo scempio, è comunque in grado di offrire alcune esperienze di evoluzione del folk tradizionale veramente significative (penso ad esempio ad alcuni dei gruppi e musicisti che gravitano intorno alla benemerita etichetta Anima Mundi di Otranto, in particolare a Tonino Zurlo, Dario Muci, Ghetonia...).

Se la dimensione visuale di questa kermesse milionaria è stata mortificante, ancor peggio è risultato all’ascolto il lavoro di riarrangiamento delle forme tradizionali: quella che dagli organizzatori viene spacciata per ‘contaminazione’, per altro auspicata anche nel mio già citato FGM come esperienza possibile in un’Italia in cui l’integrazione di culture ed etnie diverse fosse effettivamente compiuta (non questa che abitiamo con grande rabbia e imbarazzo, oggi più che mai!), in realtà ha assunto l'identità dei festival di musica etnica in costume organizzati d’estate dalle pro loco in cui viene esibito l’esotico per il piacere dei vacanzieri: non vi è bastato ascoltare la rivisitazione di “Pizzicarella” fatta dal gruppo indiano ospite? Una scena imbarazzante e penosa che avrebbe fatto ridere a crepapelle i grandi Matteo Salvatore e Uccio Aloisi (solo per fare due esempi nobili) e a me ha fatto venire la nausea...

Se dalle prime edizioni con una presenza media al “Concertone” di 20.000 persone si è passati alle attuali 200.000, si dirà, c’è poco da criticare: la manifestazione è cresciuta, il folk continua a far ballare la gente, gli sponsor gongolano, la tradizione è salva e bla bla bla.

Argomentazioni a mio modo di vedere risibili se il processo di attualizzazione del folk è quello in atto esibito in vitro a Melpignano: un'orchestra salentina (ma quando mai...?!), plastica rappresentazione dello stravolgimento culturale in atto; cantatrici senz’anima (con timbri vocali da balera, appunto), musicisti non rappresentativi della scena reale, enfatizzazione degli elementi spettacolari più retrivi (luci pulsanti, costumi sgargianti, balletti...), "rappresentazione" più che "vita reale"...

Un colossale equivoco (certamente intenzionale!) ai danni della musica folk e del pubblico che contrabbanda un'idea di tradizione da cartolina che fa battere il piede e sculettare ma non rappresenta alcunché di reale, dentro la storia viva di questo Paese e delle sue tante realtà provinciali e periferiche ancora, sebbene in termini residuali, pulsanti.

Un triste segno, probabilmente ormai irreversibile, di quest'epoca decadente.

(1) Per altro ci furono polemiche sin dalla prima edizione della manifestazione, come documenta puntualmente Vincenzo Santoro nell'ottimo "Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina" (Squilibri, Roma 2009). Emblematici il pamphlet pubblicato nell'ottobre 2002 dal titolo "Salento che fare?", dura requisitoria contro la svendita della cultura (e della musica) salentina, e il CD degli Aramirè, pubblicato nel 2004, in particolare con il brano "Mazzate pesanti", che rappresentò un'accusa diretta alla politica culturale che aveva lanciato la "Notte della taranta"...

Aramirè - "Mazzate pesanti" (da "Mazzate pesanti", Edizioni Aramirè 2004)

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