In uno dei romanzi più belli di Philip Roth, "La macchia umana", edito nel 2001 da Einaudi nella traduzione di Vincenzo Mantovani, la tortuosa, drammatica storia di Coleman Silk, rettore universitario caduto in disgrazia per un'accusa infamante, approda a pagina 266 allo svelamento del significato del titolo. E' il nucleo narrativo del romanzo, lo sguarcio più doloroso ed amaro, la coraggiosa ammissione di impotenza del genere umano.
Faunia, la giovane compagna di Coleman, riflettendo sul senso dell'esistenza dice:
".. noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c'è altro mezzo per essere qui. Nulla a che fare con la disobbedienza. Nulla a che fare con la grazia o la salvezza o la redenzione. E' in ognuno di noi. Insita. Inerente. Qualificante. La macchia che esiste prima del suo segno. Che esiste senza il segno. La macchia così intrinseca che non richiede un segno. La macchia che precede la disobbedienza, che comprende la disobbedienza e frustra ogni spiegazione e ogni comprensione. Ecco perché ogni purificazione è uno scherzo. Uno schezo crudele, se è per questo. La fantasia della purezza è terrificante. E' folle. Cos'è questa brama di purificazione, se non l'aggiunta di nuove impurità?"
E' la natura dell'uomo, è come siamo fatti, che rende l'esistenza accidentata irrimediabilmente. Siamo esseri imperfetti, fallaci, limitati, ridicolmente insignificanti.
Le religioni, ideate dall'uomo stesso per dare una risposta al senso accidentale dell'esistere, attraverso la fede in un dio promettono la redenzione dall' impurità congenita, dal peccato originale.
"Perciò Dio il Signore mandò via l'uomo dal giardino d'Eden, perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. Così egli scacciò l'uomo e pose a oriente del giardino d'Eden dei cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell'albero della vita" (La Sacra Bibbia, Società Biblica di Ginevra, 2010).
Non c'è modo di scamparla, dice Roth, siamo tutti colpevoli e impuri, vittime del nostro determinismo biologico. Come ha scritto Sheldon B. Kopp nel suo straordinario "elenco escatologico della biancheria" (1972): "Dobbiamo imparare la forza di vivere con la nostra impotenza".
E le nostre innumerevoli macchie...
(L'immagine è dall'opera di Alberto Burri, "Nero-Catrame" (1951))